Shoah, incontro con Piero Terracina


Shoah, incontro con Piero Terracina: “Vi racconto l’inferno. Ci sono stato” di Corinne Merhi

 

“Oggi vi racconto l’inferno: non quello di Dante, nemmeno quello delle religioni. Io all’inferno ci sono stato. L’inferno che ho vissuto si chiama Auschwitz-Birkenau”.

 

Queste le parole con cui Piero Terracina, sopravvissuto al campo di sterminio Birkenau (tradotto “campo di betulle”), si presenta davanti ad un migliaio di persone riunite all’Auditorium Paganini, per ascoltare la voce di chi ha vissuto gli orrori del più grande campo di concentramento nazista, dove sono state uccise almeno un milione e centomila persone.

 

“La presenza di Piero – ha affermato Margherita Becchetti del Centro Studi Movimenti, organizzatore dell’incontro – ci offre l’occasione di dare un nome, una storia, un volto a quei morti, in numero così spaventoso da diventare inconcepibili come individui per la nostra mente”.

 

Da qui l’importanza di testimoniare: la storia è la rappresentazione di avvenimenti da un punto di vista esterno; la testimonianza la integra, esprime i sentimenti, i pensieri, le emozioni di chi l’ha vissuta.

In segno di riconoscimento, il presidente della Comunità Ebraica, Giorgio Yehuda Giavarini, ha consegnato all’ospite una targa ricordo con la scritta “Colui che ascolta un testimone diventa egli stesso un testimone”. Questo il senso della presenza di Terracina a Parma, nella consapevolezza che – come egli stesso ha detto – “la memoria è il filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro, perché quel passato non debba mai più ritornare”.

 

Il racconto di Terracina inizia dalle leggi razziali approvate nel 1938. Un provvedimento del regime fascista che toglieva agli ebrei il diritto allo studio, l’esclusione dagli albi professionali, dagli incarichi pubblici. In quarta elementare, Terracina, viene allontanato dalla scuola. "Perché sei ebreo, mi disse la mia insegnante. Questo è accaduto qui da noi, in Italia – sottolinea Terracina – la Germania su questo non c'entra niente: è stata una persecuzione che il Governo italiano ha voluto attuare verso i suoi cittadini. Dovetti andare in una scuola ebraica dove i miei amici mi protessero, mi accolsero nelle loro case. Senza la loro solidarietà non ce l'avrei fatta”.

 

La solidarietà, il più alto valore morale secondo Terracina. Di certo nel lager non esisteva, salvo casi speciali; esisteva la lotta per una ciotola, per le scarpe. In un luogo in cui viene tolta la dignità, l’umanità, è difficile essere solidali. Pochi superstiti possono dire di non aver deliberatamente derubato, percosso un compagno.

 

È il 7 aprile del 1944, la sera della Pasqua ebraica, quando le SS individuano l’abitazione romana dove Terracina era sfollato insieme alla famiglia. "Mia nonna non c'era: era morta pochi giorni prima – ricorda lui dal palco – per fortuna, dico ora: per tutte le sofferenze che le sono state risparmiate".

 

I Terracina vengono portati nel carcere di Regina Coeli, registrati e poi trasferiti nel campo italiano di Fossoli. “I prigionieri non lavoravano, ma imparai come dovevo morire: vidi un ufficiale sparare un colpo in testa a un deportato. Fu la prima morte che vidi nella mia vita”.

 

Terracina viene poi smistato a Birkenau, il campo di sterminio più grande del complesso. "Non vi vedrò più, ci disse mia madre quando separarono le donne", confida alla platea con voce spezzata. Da lì ha inizio l'inferno di Terracina, che da quel momento viene rasato in ogni parte del corpo, cosparso di antiparassitario, spogliato di tutto, della sua identità.

 

Dal lager, Piero Terracina è riuscito ad uscire nel dicembre del 1945, undici mesi dopo la liberazione da parte delle truppe sovietiche.

 

Di tutti i soprusi, le violenze subite, Terracina non vuole raccontare ai giovani e ai bambini presenti in sala. Nella sua voce rotta dal ricordo, emerge la forza di un uomo straordinario, reduce dalla crudeltà umana, che fu capace di rialzarsi e testimoniare per far sì che orrori del genere non possano capitare mai più.

 

Si ferma qui, il racconto dell'inferno di Terracina. "Non credo di poter andare oltre - ammette - ho cercato di evitare di entrare nei particolari dell'orrore: potrebbe creare raccapriccio e quasi certamente il conseguente rifiuto. Perché gli esecutori del delitto erano uomini come noi, come tutti".

 

 

A chi gli domanda se è riuscito a perdonare, Terracina risponde: "No, non posso perdonare. Ci sono colpe che non possono essere perdonate. Il perdono è sempre individuale: nessuno mi autorizza a perdonare per i milioni di persone che sono state assassinate. Io non posso perdonare per la mia famiglia. Nessuno mi ha lasciato la delega per il perdono, e io non perdono".

 

Una sua riflessione sul negazionismo, su chi mette in dubbio che tutto ciò sia mai accaduto. "Come possono negare quello che è stato? Perché negano? Chi vuol negare, se fosse vissuto al tempo della persecuzione degli ebrei, sarebbe stato dalla parte dei carnefici. Se non un carnefice stesso", dice Terracina.

 

Le ultime parole sono per i giovani: Terracina gli esorta a partecipare alla vita secondo un ideale di giustizia. Per essere libero si deve ragionare con la propria testa, e fare attenzione a non cadere in balia di nuovi duci cialtroni.

 

Terracina ci lascia con queste parole: "Siamo tutti uguali. Tutti abbiamo il diritto alla libertà: la libertà o è di tutti o di nessuno. La difesa di questi valori spetta soprattutto ai giovani. Ragazzi impegnatevi, fatelo per voi, fatelo per gli altri, per i vostri figli che verranno. Il Bene e il Male si vedono, si riconoscono. Tenetevi lontano dal Male, vivete la vostra vita nel Bene".

Ultima revisione da AMANZIO TOFFOLONI